L’errore di Darwin a proposito dei fossili


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Dominique Tassot

Per la maggior parte della gente, la prova dell’evoluzione si trova nei fossili. Siccome gli animali che vivevano nel passato, e di cui ritroviamo i resti, erano diversi dagli animali attuali, allora significa che c’è stata un’evoluzione! Tuttavia, nella mente di Darwin, i fossili costituivano un’obiezione importante poiché si presentavano in specie ben determinate, facili da descrivere e facili da inserire nella classificazione generale degli esseri viventi. Non si trovavano intermediari che potessero provare un’evoluzione graduale. Darwin scrive nel 1859: (67) « Il numero di varietà intermedie che sarebbero esistite un tempo sulla terra deve essere davvero immenso. Perché quindi le formazioni e gli geologici non sono pieni di questi anelli? Certamente la geologia non rivela una tale catena organica perfettamente graduata; e questa è probabilmente l’obiezione più ovvia e seria che possa essere rivolta alla mia teoria. Ritengo che la spiegazione risieda nell’estrema insufficienza dei documenti geologici.»

Darwin aveva così trovato una soluzione temporanea a questo ostacolo: Scaviamo! Non abbiamo cercato abbastanza! Oggi, dopo cento cinquanta anni che cerchiamo e scaviamo , è notorio che i tanto attesi intermediari sono semplicemente degli «anelli mancanti» (missing links in inglese) e non tentiamo nemmeno più di cercarli.

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     Gli scavi compiuti dal 1859 sono stati infinitamente più numerosi e fruttuosi rispetto a quelli di cui Darwin era a conoscenza. Pertanto non si può più sostenere che le collezioni fossili non costituiscano un campione rappresentativo della vita preistorica. I dati si oppongono a questo fatto: su 329 famiglie di vertebrati viventi attualmente conosciute, 261 (ovvero il 79%) si trovano allo stato fossile, e se si escludono gli uccelli (i cui fossili sono rarissimi), la percentuale raggiunge l’88% .

Di conseguenza, i fossili non costituiscono la tanto attesa «prova» dell’Evoluzione ed è questo, secondo le parole di Nils Eldredge, il «segreto professionale» dei paleontologi. Il ricercatore americano Steven Stanley si ritiene in grado di concludere che: «i giacimenti fossili conosciuti non forniscono un solo esempio che testimoni il fatto l’evoluzione filetica stia compiendo una transizione morfologica importante e per questo non offrono nessuna prova della validità del modello gradualista.»

Qual è perciò la conclusione? La più semplice sarebbe ritenere che questi «anelli» non siano mai esistiti: ciò che non esiste non lascia tracce! Ma in questo caso bisognerebbe rinunciare all’idea di un’evoluzione graduale, a piccole tappe, che procede in maniera lenta e silenziosa. Tuttavia questo gradualismo è proprio il meccanismo psicologico che a reso credibile la tesi evoluzionista…

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     Di fronte a questo vicolo cieco, i paleontologi americani Nils Eldredge et Stephen Jay Gould hanno proposto un’«evoluzione a salti» tra le forme stabili. Gli intermediari avrebbero dovuto essere forme effimere che vivono in quantità ridotte in territori limitati, con una probabilità quindi molto bassa di fossilizzarsi. Si tratta della teoria «saltazionista». Ciò nonostante, il grande pubblico continua a credere in un’evoluzione graduale e ritiene che siano esistite molte varianti di esseri intermediari, per esempio tra il mammut e l’elefante o tra la scimmia e l’uomo.

In realtà cosa significa questa assenza degli «anelli mancanti»? Vuol dire che le specie fossili furono altrettanto stabili quanto lo sono le specie conosciute attualmente. Si dice che ci sia una «stasi»: i fossili di una determinata specie sono gli stessi dappertutto, qualsiasi sia il terreno nel quale vengano rinvenuti. Ciò spiega che molti fossili siano ancora «viventi» e immutati, soprattutto il celebre Coelacante, che era stata presentato come l’intermediario tra i pesci e i rettili (possiede una pinna ossea) ma che viene pescato sempre nell’Oceano Indiano e nel Golfo del Messico. Per esempio, vengono rivenuti dei fossili identici di razze, squali, lamprede, ricci di mare in tutti gli strati sedimentari. L’affermazione di un’evoluzione della specie dipende pertanto, come ai tempi di Darwin, da un presupposto filosofico, non da una legittima induzione a partire da fatti osservati. Maurice Caullery, allora titolare della cattedra di evoluzione degli esseri organizzati alla Sorbona, scriveva già nel 1931: «Le recenti ricerche, contrariamente a quanto si potesse immaginare cinquanta anni fa, hanno più che altro rinforzato l’idea della stabilità presente delle forme animali e vegetali nonché hanno rivalutato le loro variazioni o come fenomeni puramente individuali senza alcuna ripercussione sulla stirpe, oppure come una diversificazione limitata e virtualmente contenuta nella tipologia di ciascuna specie.».

I decenni seguenti non hanno attenuato per niente la forza di questa affermazione. Contrariamente quindi all’intuizione di Darwin, gli esseri viventi non sono semplici individui intermedi in transito tra forme specifiche in via di estinzione e una forma futura ancora da determinare; i fossili, così come gli esseri viventi contemporanei, non lasciano intravedere nulla di tutto ciò! La specie è una realtà assolutamente obiettiva, scientificamente identificabile grazie all’anatomia e alla genetica, tanto che la semplice possibilità teorica di una eventuale evoluzione, ossia il passaggio di una specie ad un’altra, deve essere ancora dimostrata, come hanno da poco riconosciuto nella rivista «Nature» Eörs Szathmary et John Maynard Smith.

Un pensiero su “L’errore di Darwin a proposito dei fossili

  1. Cari amici, nel mio libro “Darwin ha sbagliato” abbiamo risolto il problema degli anelli mancanti” dimostrando MATEMATICAMENTE che non esistono
    Infatti : tutte le specie hanno un numero fisso di cromosomi e questo numero è sempre INTERO. Non essendo possibile passare poco per volta da un numero intero ad un altro , non è possibile passare poco per volta da una specie ad un’altra specie.
    PS : anche Piergiorgio Odifreddi adesso lo sa.
    ing Piero Barovero

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