Convegno: FEDE E SCIENZA, NEMICHE PER DAVVERO? IL CASO ANTONY FLEW


MERCOLEDI’ 29 FEBBRAIO h 21:00
ISTITUTO GONZAGA MILANO via vitruvio 41, mm lima

SCIENZA E FEDE DAVVERO NEMICHE?
IL CASO DI ANTHONY FLEW
Come l’ateo più famoso del mondo ha cambiato idea

Intervengono:

Marco Respinti
Saggista e traduttore, è studioso del pensiero conservatore angloamericano. Giornalista professionista.

Vincenzo Sofo
Coordinatore Sintesi Milano

Michael Maron
Resp. Portavoce Ass. giovanile Ideopolis

Viridiano Romoli
Vicepresidente Ex Alunni Gonzaga, Moderatore

info: Fabrizio Fratus: 339 188 20 63

SELEZIONE NATURALE SI, EVOLUZIONE, “NON CI PENSIAMO NEANCHE”


di S. Bertolini e G. Allen

Persiste una certa ignoranza nel mondo degli evoluzionisti riguardo al rapporto fra la selezione naturale e l’evoluzione e a quello che credono i creazionisti sulla selezione naturale. Se consideriamo il mio precedente articolo Selezione Naturale, un’idea “presa in prestito” da Darwin http://www.origini.info/Articolo.asp?id=470 , abbiamo un buon punto di partenza per spiegare la posizione creazionista per quanto riguarda la selezione naturale. La selezione naturale è stata proposta e documentata prima di Charles Darwin dal creazionista, chimico e zoologo inglese Edward Blyth (1810-1873), autore di tre importanti articoli sulla selezione naturale pubblicati ne La Rivista di Storia Naturale dal 1835 al 1837.1

Il creazionista accetta senza riserva la selezione naturale come il meccanismo che porta alla variazione all’interno della specie secondo pressioni ambientali, alimentari ed altro. Shock! Spesso l’evoluzionista rimane stupito da questa affermazione e, senza pensare, dice poi che i creazionisti “sono costretti ad ammettere che un po’ di evoluzione c’è stato”, perché rimangono prevenuti, accecati dai loro pregiudizi. Spero che questo articolo possa chiarire non solo le acque, ma anche le idee!

Chiedo all’evoluzionista, ai fini di questa discussione, di concedere la possibilità che Dio abbia creato l’uomo e ogni altra forma di vita, e con questo un patrimonio genetico vasto per ogni specie biblica. Qui la specie biblica va considerata come un archetipo, denominata baramina, considerata più simile a un livello intermedio fra il genus e la famiglia del sistema linneano. La posizione di fede nell’atto creativo di Dio si potrebbe comparare alla posizione di fede evoluzionista sulla abiogenesi, detta anche evoluzione chimica, che non è mai stata adeguatamente spiegata … per ora non entro nell’impossibilità di questa posizione, che è ampiamente documentata.2 , 3

Segue la visione creazionista per la genetica, la speciazione e la variazione delle forme di vita.

. Il punto di partenza: un patrimonio genetico vasto, senza errori né mutazioni. Le specie (baramina) bibliche possiedono l’informazione genetica per ogni variazione che si osserva nella storia dei fossili e nel mondo vivente odierno.

  • Subentra l’imperfezione nel creato come conseguenza della disubbidienza dell’uomo e con questo inizia la degenerazione. Si può anche dire che l’effetto della 2° legge della termodinamica, l’entropia, inizia a manifestarsi, anche al livello molecolare genetico che si potrebbe considerare un’entropia genetica.4
  • In ogni generazione le mutazioni si accumulano e il tasso di mutazione aumenta.
  • Le mutazioni risultano sempre in una perdita di informazione genetica5, espressa nel fenotipo come una perdita di funzione (che in alcuni casi potrebbe addirittura offrire un vantaggio, come nel caso di insetti senza ali su un’isola esposta al vento, o di pesci senza occhi in una caverna buia). Al contrario, l’evoluzione richiede la generazione dalle mutazioni di nuove informazioni genetiche che creano nuove funzioni. La realtà è ben diversa e i dati empirici confermano che le mutazioni non creano mai nuove informazioni.

    . La selezione naturale favorisce alcune caratteristiche genetiche pre-esistenti in una popolazione, eliminando dei geni dal patrimonio genetico e aiutando così la popolazione ad adattarsi al suo ambiente.

  • La selezione naturale si sovrappone alle mutazioni (in gran parte dannose), e tende ad eliminare la variazione genetica e non a favorirla, come è stato bene espresso da Shapiro: “È stata una sorpresa scoprire con quale precisione le cellule si proteggono proprio contro i cambiamenti genetici accidentali che sarebbero la fonte della variabilità evolutiva, secondo la teoria tradizionale… Dedicano molte risorse a sopprimere la variazione genetica casuale”.6 Così la selezione naturale sarebbe il nemico dell’evoluzione e non il suo meccanismo, perché tende a mantenere la stasi.
  • Quello che risulta realmente dalla selezione naturale è un impoverimento del patrimonio genetico. È proprio questo impoverimento che porta alla variazione delle specie derivate dell’originale baramina (sottogruppi del genoma parentale). L’isolamento di piccoli gruppi dalla popolazione parentale darebbe una spinta alla selezione naturale, portando a proli con caratteristiche del fenotipo assai diverse dalla popolazione parentale, anche in tempi sorprendentemente brevi (per il biologo attualista).7 Secondo la definizione di specie di E. Mayer, se questi non riescono ad incrociarsi con la popolazione parentale risultano in una nuova specie. Va ribadito che questa variazione rimane all’interno e mai oltre limiti molto ben definite dalla specie, perché non è stata aggiunta alcuna informazione genetica nuova. I fringuelli producono altre specie di fringuelli, le zanzare altre specie di zanzare.8 Punto. Non ci sono eccezioni.

Rivediamo in una tabella le differenze fra l’evoluzione e la selezione naturale:

Se ora poniamo la domanda se l’evoluzione equivalga alla selezione naturale, possiamo rispondere con chiarezza che questi due termini non si possono scambiare perché rappresentano meccanismi completamente diversi. Troppo spesso gli evoluzionisti fanno il gioco dell’equivoco, in gran parte senza neanche rendersene conto. Per una minoranza, però, l’intenzione subdola è chiara. La distinzione è stata ampiamente evidenziata dal Dr John Endler, ma ignorata dagli evoluzionisti, nonostante citino frequentemente altri aspetti del lavoro di Endler.

La selezione naturale non deve essere equiparata all’evoluzione, anche se sono strettamente collegate”.9 Endler cerca di avvertire i suoi lettori che la confusione dei termini non è limitata al livello laico, ma si trova anche nella comunità scientifica: “Il termine ‘selezione naturale’ ha un significato diverso per diverse persone, cosa che spesso porta a una confusione nelle pubblicazioni”.10

Pertanto la selezione naturale potrebbe influenzare l’ordine dell’origine della combinazione di caratteristiche, nonostante non spieghi il meccanismo delle loro origini”.11

Sovente questi due meccanismi vengono soprannominati, anche da parte di creazionisti, “microevoluzione” per la selezione naturale e “macroevoluzione” per l’evoluzione. È fortemente sconsigliato l’uso di questi termini, perché tendono ad insinuare che la microevoluzione sia una “versione mini” dell’evoluzione. Questo non è assolutamente vero, e non è bene neanche dare luogo al sospetto che la selezione naturale possa essere equiparata all’evoluzione o che nel tempo essa possa portare all’evoluzione.

Le osservazioni empiriche della selezione naturale, sia da parte di biologi molecolari nel studio della genetica e le mutazioni, sia dallo studio delle variazioni delle specie da parte di paleontologi e biologi, concordano pienamente con il modello creazionista di una partenza da un patrimonio genetico molto ampio, seguito da un impoverimento dello stesso. Questo spiega non solo la speciazione, ma anche le patologie che risultano dalle mutazioni e dal degrado costante del genoma. Anche nel campo della biochimica, si evince che la complessità della rete metabolica trascende ogni spiegazione darwiniana. La biologia non necessita dell’ipotesi dell’evoluzione per progredire.

In realtà, negli ultimi 100 anni, quasi tutta la biologia è andata avanti indipendentemente dall’evoluzione, eccetto la biologia evolutiva stessa. La biologia molecolare, la biochimica, la fisiologia non hanno affatto considerato l’evoluzione”.12

L’evoluzione darwiniana – quali che siano le altre sue virtù – non fornisce un’euristica vantaggiosa alla biologia sperimentale”.13

Ricapitoliamo le caratteristiche della selezione naturale:

  1. La selezione naturale è un fatto, riconosciuto dai creazionisti anche prima di Darwin.
  2. La selezione naturale favorisce alcune caratteristiche genetiche pre-esistenti in una popolazione, eliminando dei geni dal patrimonio genetico, aiutando così la popolazione ad adattarsi al suo ambiente.
  3. La selezione naturale può portare a nuove specie all’interno dei limiti del baramina originale.
  4. La selezione naturale in sé non genera alcuna nuova informazione genetica. Gli adattamenti sono il mero risultato della selezione naturale che agisce sulle informazioni genetiche pre-esistenti.

In conclusione, la selezione naturale non può essere considerata evoluzione, né i due termini possono essere interscambiati. Se dunque la selezione naturale, la variazione delle specie, la biologia, la biologia molecolare e la biochimica non necessitano dell’evoluzione per progredire, quale ruolo rimane per l’evoluzione? Nessuno. Dovrà prendere il suo giusto posto, quello di una mera ipotesi. Una volta abbattuto il piedistallo dell’evoluzione, possiamo poi studiare la selezione naturale nella giusta prospettiva.

1Blyth, E., The Magazine of Natural History Volumi 8, 9 and 10, 1835–1837. Fonte: Bibliografia 5, Appendici.

2Hoyle, F., The big bang in astronomy, New Scientist 92(1280):527, November 19, 1981.

3F. Hoyle and C. Wickramasinghe, Evolution from Space, pg 130.

4Dr.J.C.Sanford (inventore del ‘gene gun’), Genetic Entropy & The Mystery of the Genome, FMS Publications, 3rd Ed., 2008, p.27.

5Bibliografia 4.

6James A. Shapiro, A Third Way, Boston Review: Is Darwin in the Details? A Debate, http://www.bostonreview.net/br22.1/shapiro.html

7Morell, V., Predator-free guppies take an evolutionary leap forward, Science 275(5308):1880, 1997.

8K.Byrne, R.Nichols, Culex pipiens in London Underground tunnels: differentiation between surface and subterranean populations, Heredity (1999) 82, 7–15.

9Endler, John A., Natural Selection in the Wild, Princeton University Press, New Jersey, USA, 1986, p.8.

10Bibliografia 9, p.8.

11Bibliografia 9, p.246.

12Dr Marc Kirschner, presidente fondatore del Reparto dei Sistemi Biologici, Harvard Medical School, The Boston Globe, 23 Ottobre 2005.

13Philip S. Skell, Professore Emerito della Pennsylvania State University e membro dell’Accademia Nazionale delle Scienze, ‘Perché invochiamo Darwin? La teoria dell’evoluzione contribuisce ben poco alla biologia sperimentale’, The Scientist 19(16):10, 29 Agosto 2005.

 

SPECIAZIONE EQUIVALENTE DA MICRO A MACRO EVOLUZIONE


Mi hanno segnalato questi esempi di SPECIAZIONE:

1) uno e proprio qui in Italia Passer italiae (passero italiano) Questo esempio di speciazione è importante perche è un vertebrato non un batterio inoltre il processo e in fase di sviluppo sotto gli occhi di tutti. JO S.HERMANSEN, STEIN A. SÆTHER, TORE O. ELGVIN, THOMAS BORGE, ELIN HJELLE, GLENN-PETER SÆTRE, Molecular Ecology, Volume 20, Issue 18, pages 3812–3822, September 2011

2) Oenothera gigas una pianta de Vries (1905), e anche Duplicate genes increase expression diversity in closely related species and allopolyploids” Misook Haa, Eun-Deok Kima and Z. Jeffrey Chen, PNAS February 17, 2009 vol.106 no. 7 2295-2300

3) Primula kewensis un altra pianta…Newton and Pellew (1929)

4) Tragopogon naltra pianta Owenby (1950)

5) Drosophila paulistorum (Dobzhansky 1972) un insetto.

6) Il topo di casa delle isole farao (giusto nel caso che non pensate che la speciazione sia limitato ad uccelli piante ed insetti. Stanley, S., 1979. Macroevolution: Pattern and Process, San Francisco, W.H.Freeman and Company. p. 41

7) Nei pesci con la specie ciclidi del lago Nagubago Reference: Mayr, E., 1970. Populations, Species, and Evolution, Massachusetts, Harvard University Press. p. 348

Quanto sopra rappresentano reali casi di speciazione? E sono prova specifica del passaggio da microevoluzione a macroevoluzione?

Grazie di una vostra risposta! Leonardo

RISPONDE A.I.S.O.  ASSOCIAZIONE STUDI SULLE ORIGINI

Esempi di speciazione equivalgono alla dimostrazione del passaggio da micro a macro evoluzione?

Un’ottima domanda e molto pertinente al dibattito. La risposta è molto semplice. Se consideriamo la definizione di specie più comunemente accettata, che sarebbe quella secondo E.Mayr (1940)1 (la specie biologica: quando due organismi non riescono ad accoppiarsi sono considerate specie diverse), allora assolutamente, esistono numerosi esempi di speciazione. Per il creazionista non c’è niente di strano o sconvolgente in questo, che spesso sorprende gli evoluzionisti solo perché sono poco informati. I creazionisti accettano pienamente la speciazione che risulta dalla selezione naturale, cioè variazione all’interno di un genere. La speciazione è osservabile, e si possono condurre esperimenti empirici: in questo consiste la scienza operativa, cioè quella sperimentale. La presentazione della speciazione da parte degli evoluzionisti come strumento per abbattere il creazionismo è un esempio di un avversario di comodo, costruito con il preciso obiettivo di abbatterlo facilmente. I creazionisti esperti in materia non propongono la fissità della specie biologica.

Il fatto della speciazione non è assolutamente utile a sostegno dell’evoluzione, perché il passero produce altre specie di passeri, la primula produce altre specie di primule, il moscerino della frutta altre specie di moscerini, il topo, indovina: altre specie di topo, e cosi via ad nauseam. Possiamo anche prendere altri esempi più noti, come la speciazione dei fringuelli, resi famosi da Darwin.

Uno studio di 18 anni da parte del zoologo Peter Grant ha mostrato che una nuova specie di fringuello può svilupparsi in solo 200 anni.2 Questo fatto addirittura sostiene il modello creazionista della speciazione rapida.3 Spesso gli evoluzionisti rimangono stupiti dalla celerità di cambiamenti biologici (fino ad arrivare a nuove specie) in organismi perché sono cosi prevenuti dai loro concetti di lunghe ere d’evoluzione, ma dal punto di vista creazionista non c’è da stupirsi. Tornando ai fringuelli… La difficoltà che trovano i discepoli dell’evoluzione nell’usare i fringuelli (ed altri esempi come il melanismo industriale delle falene Peppered) per la loro causa è che la variazione è ciclica. Mentre un periodo di siccità risultava in un incremento delle dimensioni, il cambiamento si invertì quando tornarono le piogge. Mi sono forse perso qualcosa, ma dove sta l’evoluzione? E’ semplicemente un adattamento alle condizioni climatiche (permissibile dalla potenzialità di variazione dall’informazione genetica a disposizione per le dimensioni del becco), e non ha niente a che fare con la teoria generale dell’evoluzione (GTE).

Gli evoluzionisti cercano di convincerci che cambiamenti (speciazione) di varie specie come il fringuello sostengono la GTE. Invece la variazione nel becco dei fringuelli è semplicemente il risultato di una selezione da informazione genetica pre-esistente, mentre la GTE richiede la generazione di nuove informazioni. Dove sono gli esempi di batteri osservati nella loro evoluzione in rane o in uomo? O forse il pesce che si osserva mentre si trasforma in anfibio? Queste sarebbero prova dell’evoluzione. In un’intervista Richard Dawkins, detto il Bulldog di Darwin, fu chiesto di nominare un esempio di mutazione genetica o processo evolutivo che avesse aumentato l’informazione nel genoma. Il risultato era 17 secondi di totale silenzio. Dawkins appare perplesso. La registrazione viene interrotta e poi alla ripresa della registrazione procede a rispondere a tutt’altro argomento.4

Alcuni definiscono l’evoluzione come “cambiamento nel tempo” che diventa un cesto che raccoglie tutto. Non è assolutamente adeguato come definizione. La GTE va meglio definita come “Lo sviluppo di ogni essere vivente da una singola cellula che ha come origine sostanze chimiche non-viventi.” In alternativa si potrebbe consultare la definizione su Wikipedia: “In biologia, con il termine evoluzione, si intende il progressivo ed ininterrotto accumularsi di modificazioni successive, fino a manifestare, in un arco di tempo sufficientemente ampio, significativi cambiamenti negli organismi viventi.”5 La parola chiave è “significativa”, perché la GTE richiede cambiamenti che portano non alla speciazione, cioè una specie che produce un’altra specie (all’interno dello stesso genere), ma una specie che produce una specie di un ordine, o addirittura un regno diverso. Come il microbo che si trasforma in maiale o l’ameba che si trasforma in azalea. Questo sarebbe la macroevoluzione, un termine che personalmente non condivido e non uso perché fuorviante. Non si dovrebbe nemmeno utilizzare il termine microevoluzione per definire la potenzialità di variazione all’interno della specie che va semplicemente chiamata con il giusto termine scientifico: selezione naturale. La microevoluzione non è una forma ridotta della macroevoluzione perché sono processi e concetti radicalmente diversi.

Ricordiamoci che la selezione naturale è osservata tramite esperimenti empirici, rientrando nella scienza operativa. L’evoluzione invece viene presunta, perché non si possono fare esperimenti empirici nel passato, e perciò viene chiamata scienza delle origini, o più semplicemente: storia. L’evoluzione rimane quello che è sempre stata, una mera infondata ipotesi. Ora passiamo alla prossima frottola degli evoluzionisti…

Stefano Bertolini

Presidente A.I.S.O.

1de Queiroz K (2005), “Ernst Mayr and the modern concept of species”. Proc. Natl. Acad. Sci. U.S.A. 102 Suppl 1: 6600–7

2P.R. Grant, Natural Selection and Darwin’s Finches, Scientific American 265(4):60–65 (October 1991).

3Carl Wieland, Darwin’s Finches: Evidence supporting rapid post-Flood adaptation, Creation 14(3):22–23 (June–August 1992).

4http://www.youtube.com/watch?v=zaKryi3605g.

5http://it.wikipedia.org/wiki/Evoluzione.

 

Pikaia e le sue baggianate.


Avete presente quando si falsificano i dati? Avete presente che farlo, molte volte, serve per truffare? Bene, allora prendete il sito di Pikaia, andate nella pagina “antievoluzionismo” e noterete che il formidabili difensori della teoria di Darwin, non felici di avere falsificato fossili, dati empirici, interpretazioni, disegni etc  continuano a fare circolare informazioni false e distorte. L’ultima, per altro molto datata e già confutata in diverse occasioni in America è quella del biologo Ken Miller: http://www.pikaia.eu/EasyNe2/Notizie/Evolution_Fossils_Genes_and_Mousetraps.aspx.

È facile confutare una qualsiasi teoria o modello cambiando i presupposti e adattandoli per la propria dimostrazione.

Ken Miller distorce i metodi di Dembski di deduzione dell`Intelligent Design

Casey Luskin (da http://www.evolutionnews.org)

Un giornalista mi ha inviato di recente un documentario della BBC contro il Disegno Intelligente dal titolo altisonante “Una guerra nella scienza”. In esso, appare il biologo Darwinista Ken Miller che cerca di confutare l’irriducibile complessità del flagellum dei batteri citando l’apparato di secrezione tipo 3, usando il suo solito equivoco circa l’irreducibile complessità . Ma c’è molto di più. Miller distorce completamente gli argomenti base del matematico teorico dell’ID William Dembski. In sintesi Miller sostiene che (le sue esatte parole sono riportate qui sotto ***) quando sono distribuite le carte al poker, le vostra mano di carte è improbabile. Ma ovviamente tale insieme di carte non è disegnato intelligentemente. Quindi, cose improbabili e non disegnate accadono tutti i giorni, cosicché l’evoluzione può accadere anche se è improbabile, con la conseguenza che non si potrebbe mai inferire il disegno. Tutto ciò fraintende completamente gli argomenti di Dembski. Dembski spiega che eventi improbabili accadono continuamente e che l’improbabilità da sola non basta per inferire il disegno. Infatti, i primi due paragrafi della prima pagina della prima sezione della prima fondamentale opera di Dembski, “The Design Inference”, spiega chiaramente:

«In “Personal Knowledge“, Michael Polanyi (1962, pag. 33) considera delle pietre piazzate in un giardino. In un punto le pietre mostrano la frase “Welcome to Wales by British Railways”, in un altro esse appaiono distribuite a caso. In entrambi i casi il preciso posizionamento delle pietre è grandemente improbabile. Ogni data distribuzione di pietre lo è essendo uno dei quasi infiniti possibili modi di posizionamento. Le distribuzioni di pietre che formano frasi inglesi coerenti sono solo una minuscola proporzione rispetto a tutti i possibili gruppi di pietre. L’improbabilità di tali gruppi non si può propriamente addebitare al caso. Quale è la differenza tra una qualsiasi dispersione casuale di pietre e una che recita una coerente frase inglese? L’improbabilità per se non è decisiva. In aggiunta abbiamo bisogno di una conformità ad un pattern (disposizione o figurazione). Quando le pietre mostrano una frase inglese coerente esse si conformano ad un pattern. Quando sono disposte a caso, nessun pattern è evidente. Qui c’è una difficoltà. Ogni cosa si conforma ad un pattern – anche una disposizione casuale di pietre. La questione cruciale, quindi, è se una disposizione di pietre si conforma alla GIUSTA specie di pattern tale da eliminare il caso.»

(William A. Dembski, The Design Inference: Eliminating Chance Through Small Probabilities, pag. xi (Cambridge University Press, 1998).)

 

Potrebbe Dembski essere più chiaro? Il suo concetto è che alcuni eventi improbabili NON debbono essere attribuiti ad un disegno, in quanto sono meglio spiegati dal caso. La premessa base di Dembski è che una mano casuale di poker è un perfetto esempio di evento improbabile che è spiegabile con il caso. Ma cosa succede quando vi vengono servite 50 scale reali consecutive? Cosa succede quando le pietre scrivono “Welcome to Wales by British Railways”. Chiaramente, non tutti gli eventi improbabili sono meglio spiegati con il caso, specialmente quando si conformano ad un particolare tipo di pattern. Dembski chiama questa conformità ad un pattern “specificazione”. L’inferenza di disegno richiede quindi l’improbabilità (relativa alla complessità) abbinata alla specificazione. Miller invece dice che Dembski deduce il disegno in base alla sola improbabilità di un evento. Miller ignora che secondo Dembski dobbiamo avere anche la specificazione per inferire il disegno. Dembski addirittura usa proprio questo esempio di una mano di carte per illustrare un evento improbabile ma non disegnato. (Vedi come questo è spiegato nell’articolo di Dembski “Intelligent Design as a Theory of Information.”) Ken Miller ha quindi messo in scena una patente caricatura degli argomenti del disegno intelligente per far credere falsamente al pubblico di averlo refutato.

 

——–
*** Ecco le esatte parole di Miller quando parla di questo argomento nel documentario:
“Uno dei trucchi matematici impiegati dall’intelligent design è di prendere in considerazione la situazione attuale e calcolare le probabilità che essa sia derivata casualmente da eventi del passato. E il miglior esempio che posso dare è di sedere con 4 amici, mischiare un mazzo di 52 carte, e distribuirle tenendo traccia dell’ordine esatto nel quale le carte sono date. Potremmo quindi guardare indietro e dire ‘mio dio, quanto improbabile è questo, potremmo giocare a carte per il resto della nostra vita e non vedere mai più le carte nello stesso identico ordine’. Sapete che ciò è assolutamente vero. Nondimeno voi stessi le avete date e le avete ricevute.”

 

Ken Miller Twists William Dembski’s Methods for Inferring Intelligent Design

Casey Luskin March 22, 2007 7:55 PM | Permalink

A reporter recently sent me an anti-intelligent design BBC documentary with the outlandish title “A War on Science.” In it, Darwinian biologist Ken Miller is shown purporting to refute irreducible complexity in the bacterial flagellum by citing the type 3 secretory apparatus, giving his usual misrepresentation of irreducible complexity. But it gets incredibly worse. Miller egregiously twists the basic arguments of leading ID theorist, mathematician William Dembski. To paraphrase Miller’s argument (Miller’s exact words are given ***below), when cards are dealt out in a game of poker, the hand you get is unlikely. But obviously that hand wasn’t intelligently designed. Therefore, unlikely and non-designed things happen all the time, so evolution can happen even if it’s unlikely, and we should never infer design. This completely misrepresents Dembski’s arguments. Dembski 101 explains that unlikely events happen all the time and that unlikelihood alone is not how we detect design. In fact, the first two paragraphs of the first page of the first section of Dembski’s first foundational work, The Design Inference, plainly makes this point:

In Personal Knowledge, Michael Polanyi (1962, pg. 33) considers stones placed in a garden. In one instance the stones spell “Welcome to Wales by British Railways,” in the other they appear randomly strewn. In both instances, the precise arrangement of the stones is vastly improbable. Indeed, any given arrangement of stones is but one of almost infinite possible arrangements. Nonetheless, arrangements of stones that spell coherent English sentences form but a miniscule proportion of the total possible arrangements of stones. The improbability of such arrangements is not properly referred to chance.

What is the difference between a randomly strewn arrangement and one that spells a coherent English sentence? Improbability, by itself, isn’t decisive. In addition what’s needed is conformity to a pattern. When stones spell a coherent English sentence, they conform to a pattern. When they are randomly strewn, no pattern is evident. But herein lies a difficulty. Everything conforms to some pattern or other — even a random arrangement of stones. The crucial question, therefore, is whether an arrangement of stones conforms to the right sort of pattern to eliminate chance.

(William A. Dembski, The Design Inference: Eliminating Chance Through Small Probabilities, pg. xi (Cambridge University Press, 1998), emphases added.)

Could Dembski be any more clear? His point is that some unlikely events should NOT be attributed to design, but rather are best explained by chance. Dembski’s fundamental premise is that Miller’s random poker hand is a perfectly good example of an unlikely event which is best explained by chance. But what happens when one is dealt 50 consecutive royal flushes? What happens when the stones spell out “Welcome to Wales by British Railways”? Clearly, not all unlikely events are best explained by chance, especially when they conform to a special type of pattern. Dembski calls this conformation to a pattern “specification.”

The design inference therefore requires unlikelihood (related to complexity) coupled with specification. Miller implies that Dembski infers design by the mere unlikelihood of an event, but Miller egregiously ignores the fact that according to Dembski, we must also have specification to infer design. Dembski even uses this very example of dealing a hand of cards when illustrating an unlikely but yet non-designed event. (See how this is implied in Dembski’s essay “Intelligent Design as a Theory of Information.”) Ken Miller has put forth a patently false straw-man characterization of intelligent design arguments in order to falsely allege refutations to the public.

——–

*** Here are Miller’s exact words when discussing this subject in the documentary:

“One of the mathematical tricks employed by intelligent design involves taking the present-day situation and calculating probabilities that at the present would have appeared randomly from events in the past. And the best example I can give is to sit down with 4 friends, shuffle a deck of 52 cards, and deal them out, and keep an exact record of the order in which the cards were dealt. We could then look back and say ‘my goodness, how improbable this is, we could play cards for the rest of our lives and we would never ever deal the cards out in this exact same fashion.’ And you know that’s absolutely correct. Nonetheless, you dealt them out and nonetheless you got the hand that you did.”

Tratto da progetto cosmo

NON C’E’ ALCUN ANELLO MANCANTE: DUNQUE DARWIN AVEVA TORTO.


di Francesco Lamendola

 

Che il Re sia nudo, che sia in mutande, son ormai in molti a sospettarlo e perfino a sussurrarlo; nessuno, però, o quasi nessuno, osa ancora proclamarlo ad alta voce.
Perché?
Ma per la più prosaica e banale delle ragioni: perché tutti gli scienziati accademici vivono sulla favola del bel vestito nuovo del Re: le loro amate cattedre universitarie, le case editrici e le riviste che accolgono e pubblicano i loro lavori, gli istituti di ricerca, pubblici e privati, che li finanziano e li promuovono socialmente: tutto dipende dal perpetuarsi della favola del vestito nuovo, perciò nessuno si decide a proclamare quello che, ormai, circola come un sussurro sempre più insistente, sempre più imbarazzante: Darwin aveva torto, completamente, irreparabilmente torto: torto marcio su tutta la linea, senza scampo e senza scusanti.
Non solo non sono mai stati trovati i famosi “anelli mancanti” sui quali poggiava tutta la sua teoria evoluzionista; non solo la scoperta della struttura del Dna ha mostrato l’assoluta improbabilità delle mutazioni casuali come fattore trainante dell’evoluzione stessa; ma appare sempre più chiaro che quegli anelli mancanti, sempre promessi e sempre rimandati, non salteranno mai fuori, per il semplice fatto che l’evoluzione mediante la selezione naturale non è mai esistita.
Per quale ragione, ad esempio, le piante senza fiori si sarebbero trasformate in piane con fiori; in che cosa mai sarebbe consistito il “vantaggio”, per la natura, visto che gli insetti impollinatori non esistevano ancora, ma apparvero, appunto, dopo la comparsa delle piante con fiori?
Il darwinismo sostiene che la natura conserva e stabilizza quei mutamenti genetici – casuali, si badi – che favoriscono la sopravvivenza di una specie e che la avvantaggiano rispetto alle altre; ma perché mai essa dovrebbe prendersi il disturbo di inventare qualcosa che non esiste, qualcosa di estremamente complicato, di cui potrebbe fare tranquillamente a meno?
E come mai la natura conserva e consolida le mutazioni di segno positivo, utili, cioè, alla sopravvivenza di quella determinata specie, dal momento che le mutazioni sono, quasi sempre, di segno negativo o neutro, essendo il frutto di autentici errori di riproduzione del Dna?
Ancora: dove sono le forme intermedie dalle Gimnosperme alle Angiosperme; dalle piante con riproduzione asessuata, a quelle con riproduzione sessuata?
Come è apparsa, come è nata la prima Angiosperma, visto che ancora non esistevano gli insetti per trasportare il polline? Chi o che cosa ha trasferito il polline dall’antera maschile allo stigma femminile, fecondando così la pianta?
E perché le Gimnosperme esistono ancora e sono vive e prosperano in ogni parte del mondo, a dispetto della loro supposta “arcaicità” e, dunque, della loro altrettanto ipotetica, insufficiente competitività rispetto alle Angiosperme?
Forse per la stessa ragione per cui, nel mondo animale, squali e coccodrilli prosperano inalterati da trecento milioni di anni, incuranti della teoria evoluzionista e scandalosamente indifferenti alla “legge” formulata da Charles Darwin?
Infine: ci sarebbe stato davvero il tempo materiale per il passaggio dalle Gimnosperme alle Angiosperme, visto che, secondo gli evoluzionisti, la transizione da una specie ad un’altra è un fenomeno graduale e lentissimo, quasi impercettibile; talmente impercettibile che – a dispetto del buon senso, secondo il quale dovrebbe accadere il contrario – non si trovano affatto queste benedette forme di transizione?
Scrive il giornalista Will Hart nel suo saggio «Darwin in soffitta. La futile ricerca dell’anello mancante» (in: J. Douglas Kenyon, «La storia proibita», Macro Edizioni, 2008, pp. 17-27; titolo originale: «Forbidden History», Bear & Company, 2005):

«… il darwinismo sta cominciando a manifestare […] segni di esaurimento e fatica. E a suonare il rintocco funebre non sono solo i creazionisti. Lo stesso Darwin era ben consapevole dei punti deboli della sua teoria. Definì l’origine delle pianti capaci di fioritura”un abominevole mistero”. Ed è un mistero che resta tuttora insoluto.
Nel corso di più di cento anni gli scienziati hanno cercato assiduamente le tracce fossili del cosiddetto “anello mancante” tra le forme vegetali primitive prive di fioritura,  senza riuscire a trovarle. Nel frattempo sono invece emerse  tutta una serie di contraddizioni problematiche. Darwin aveva anticipato il problema in cui saremmo incorsi  in assenza di fossili di transizione (duplicazioni di origine chimica di creature viventi).E all’epoca aveva annotato: “Si tratta della più concreta obiezione che può essere mossa a questa teoria”.
Darwin non aveva però potuto prevdre che si sarebbero via via manifestate molte altre crepe, capaci di minacciare le fondamenta stesse della sua ipotesi. Perché? Perché all’epoca di Darwin la biochimica si trovava in una fase a dir poco embrionale,. Difficilmente Darwin avrebbe mai potuto immaginare  che nel giro di un secolo dalla pubblicazione della sua “Origine delle specie”, l’umanità sarebbe giunta alla scoperta della struttura del DNA.
Per uno dei tanti capricci del destino, la prima bomba capace di provocare profondi squarci nelle trame  della teoria dell’evoluzione è stata sganciata  proprio da un biochimico. Nel suo “Darwin Black Box: The  Biochemical Challenge to Evolution”, Miachael Behe, professore, ha puntato l’indice su alcuni strain risultati dei testi di laboratorio. E in particolare si è concentrato su cinque fenomeni:  la coagulazione del sangue, le ciglia, il sistema  immunitario umano, il sistema di trasporto di materiale nelle cellule e la sintesi dei nucleotidi, arrivando  così a una sconvolgente conclusione:  si tratta di sistemi di tale IRRIDUCIBILE COMPLESSITÀ che non è possibile ipotizzare un percorso graduale darwiniano  che, passo dopo passo, abbia portato alla loro creazione. […]
Il darwinismo è l’unica teoria scientifica insegnata universalmente  che non abbia mai superato i rigorosi standard della scienza. Nonostante ciò, i darwinisti affermano che il darwinismo non possa più essere considerato una teoria, ma  piuttosto una realtà scientifica irrefutabile.  Il problema non è la scelta tra creazione biblica ed evoluzione. In realtà la faccenda si riduce a un singolo interrogativo:  la teoria di Darwin trova conferma in prove scientifiche valide?
Darwin sapeva che l’unico modo di verificare i presupposti fondamentali  della sua teoria consisteva nella ricerca di tracce fossili. E questa ricerca è proseguita senza soste fino a oggi […].
Grazie ai sedimenti depositati sui fondali marini  e lacustri delle più antiche ere,  possiamo disporre di una vasta biblioteca geologica.  E in tale biblioteca possiamo scovare piante caratteristiche  prive di fioritura e risalenti a trecento milioni  di ani fa e piante con fiori di cento milioni di anni fa, tuttora viventi, ma NESSUNA forma vegetale che ci mostri il processo GRADUALE di MUTAZIONE  che dovrebbe invece essere presente nel caso esistessero davvero specie intermedie capaci di collegare le due categorie.
Oggi non esiste  nessuna specie vivente di questo genere,  né ne sono mai stati trovati reperti fossili.  Era questa la croce di Darwin. […]
Tra i darwinisti i veri credenti si sono a lungo interrogati  circa la mancanza di fossili transizionali.  In definitiva il loro ragionamento suona così: Devono per forza essere laggiù, nascosti da qualche parte. Perché? Perché la teoria di Darwin lo richiede! E così la ricerca va avanti.  Non sappiamo però quanto tempo ancora e quante altre spedizioni e anni di ricerca ci vorranno prima che arrivino finalmente ad ammettere che potrebbe anche esserci un valido motivo per giustificare l’ASSENZA di tali fossili.
I critici controbattono che il motivo della mancanza di forme transizionali  è del tutto semplice: la teoria di Darwin non trova conferma nei più rigorosi criteri scientifici giacché contiene errori fatali.  I suoi principi fondamentali non giungono infatti a prevedere quello che si è dimostrato essere il risultato di più di un centinaio di anni di ricerche: anelli mancanti e non specie transazionali.
Lo stesso Darwin si aspettava critiche del genere nel caso  non fosse stato rinvenuto alcun fossile in rappresentanza  di quell’elemento indispensabile.
I genetisti sono da tempo consapevoli che la stragrande  maggioranza delle mutazioni è neutrale o negativa. In altri termini, le mutazioni ne rappresentano di soliti degli errori, e sono u segno dell’incapacità del Dna di replicare accuratamente le informazioni. Sembrerebbe proprio che questo non sia un meccanismo fondamentale  molto affidabile, e deve esserlo, giacché la selezione naturale ovviamente non rappresenta una forza dinamica capace di produrre quel genere di cambiamenti che gli evoluzionisti attribuiscono alla teoria. […]
La selezione naturale non avrebbe imposto mai a una gimnosperma, per esempio una felce, di mutare improvvisamente e dotarsi di una nuova struttura che avrebbe richiesto gran parte  gran parte delle’’energia della pianta stessa senza avere peraltro  alcuno scopo. Per dirla altrimenti, le piante prive di fiori non possono gradualmente aver sviluppato le parti fiorifere un po’ alla volta nel corso di dieci milioni di anni fino ad avere degli organi sessuali perfettamente sviluppati e funzionali. Ciò sarebbe infatti contrario alla stessa legge di selezione naturale  di Darwin, ovvero la sopravvivenza  della specie meglio adattata. […]
Il vecchio paradigma sta incominciando a lasciare spazio a nuove teorie e modelli, come quelli del disegno intelligente e dell’intervento extraterrestre. […]
Restiamo in attesa di una nuova teoria, più completa, capace di spiegare i che modo  la vita ebbe inizio, mutò e continuò a evolversi; nel frattempo dobbiamo constatare che, per dirla  con le parole di Richard Milton, “Darwin è ormai pronto per finire in soffitta”.»

Che dire?
Per tentar di frenare il crollo imminente della teoria evoluzionista e per puntellarla in qualche modo, taluni scienziati, come il biologo Stephen Jay Gould, per spiegare la mancanza di forme di transizione hanno varato la sub-teoria degli “equilibri punteggiati”: se la montagna, cioè i resti fossili degli “anelli mancanti”, non va a Maometto, allora Maometto va alla montagna; l’importante è preservare l’impianto generale dell’evoluzionismo.
Si tratta del tipico tentativo di aggiustamento di un paradigma vacillante, un po’ come la teoria degli epicicli e dei deferenti, elaborata dagli astronomi tolemaici e rimasta in vigore fino al Rinascimento, tentava di conciliare l’impianto generale del cosmo aristotelico, cioè il geocentrismo, con l’imbarazzante fenomeno del moto retrogrado apparente dei pianeti.
Ogni volta che un paradigma scientifico si avvia al tramonto, vi è una fase di passaggio, nella quale alcuni esponenti del vecchio sapere si industriano per elaborare teorie di compromesso, che permettano di integrare i nuovi dati e le nuove acquisizioni scientifiche con la concezione generale precedente, che, per la sua vetustà, nessuno osa mettere apertamente in dubbio; perché ciò accada, bisogna che i tempi siano maturi e che qualche studioso estraneo al vecchio paradigma, e perciò privo di sentimenti reverenziali verso di esso (o, magari, di interessi materiali da difendere), prenda d’assalto la cittadella ormai indifendibile, provocando il crollo delle ultime resistenze.
È il destino di tutti i paradigmi culturali: lo è anche nell’ambito del pensiero politico. Chi non ricorda gli innumerevoli tentativi di aggiustamento del paradigma marxista, da Kautsky e Bernstein, fino a Gramsci, a Dubcek, alla “primavera di Praga” e all’eurocomunismo di Berlinguer e Carrillo, per non parlare della “perestrojka” di Gorbaciov? Eppure, quelli che allora sembrarono dei coraggiosi tentativi di aggiornamento e di riforma di un sistema ritenuto, nel suo complesso, pur sempre giusto e valido, appaiono oggi poco più che delle semplici curiosità storiche, anzi, antiquarie.
Siamo convinti che un destino analogo attenda sia l’evoluzionismo darwiniano che la psicanalisi freudiana; siamo convinti, cioè, che sorgeranno ben presto delle poderose teorie radicalmente alternative a quei due paradigmi, i quali, peraltro, si sono intrufolati abusivamente nell’ambito nelle verità scientifiche, visto che né l’uno, né l’altro hanno mai superato gli “esami” per venire promossi a uno statuto diverso da quello di semplici teorie.
Del resto, che gli evoluzionisti “ortodossi” siano ridotti ormai ala disperazione, lo prova la scelta dell’ultima trincea, nella quale hanno deciso di arroccarsi a difesa: se la nostra teoria è sbagliata, essi dicono, volete allora spalancare le porte all’oscurantismo religioso fondamentalista, ossia al creazionismo letteralista della Bibbia?
Il che è un modo tanto palese, quanto indebito, di spostare la discussione dal suo terreno naturale, quello della scienza, ad un terreno che le è del tutto estraneo, quello della polemica ideologica, per mezzo di qualcosa che è molto simile ad un ricatto.
Infatti, non tocca agli scienziati discutere se il creazionismo sia preferibile all’evoluzionismo; ad essi compete solo di pronunciarsi circa la solidità dei fondamenti scientifici dell’evoluzionismo. Se tali fondamenti risultano insufficienti, allora bisogna riconoscere che la teoria di Darwin si regge sul vuoto e che deve essere messa fra parentesi.
E non si dica che non bisogna gettare a mare ciò che si possiede, prima di aver trovato qualcosa d’altro con cui sostituirlo, perché questo non sarebbe un ragionamento scientifico, ma un sofisma ideologico.
In realtà, gli evoluzionisti sanno benissimo che l’alternativa vera non è fra creazionismo e darwinismo, ma fra quest’ultimo e qualche altra teoria scientifica, più capace di render ragione del fenomeno della complessità delle forme viventi e della mirabile armonia che le caratterizza: a cominciare da quel finalismo in cui fermamente credevano i “filosofi naturali” dell’antichità e del medioevo, ma che, da Galilei e Cartesio in poi, è stato sbrigativamente liquidato come non scientifico dai propugnatori della cosiddetta Nuova Scienza.