In Natura il più debole non viene eliminato


 

Un terzo punto importate su cui Darwin si è sbagliato è l’eliminazione del più debole, che gli è valso però la gloria politica. Si tratta di una giustificazione scientifica, in nome della biologia, di posizioni acquisite all’interno della società o tra le società. Ai potenti dell’epoca piacque il fatto che vennero considerati artefici del progresso, avendo eliminato coloro che davano fastidio, quelli che ritardavano il cammino in avanti dell’umanità.

La lotta darwinista per l’esistenza può comportare una modifica dei caratteri della specie solo se le forme viventi «meno avvantaggiate» finiscono per estinguersi. In questo senso la teoria darwinista è quella dell’eliminazione dei meno adatti, piuttosto che quella della sopravvivenza del più adatto. Nel suo libro, il cui titolo completo può essere letto come un programma politico «De l’origine della specie per mezzo della selezione naturale o la salvaguardia delle razze favorite nella lotta per la vita», Darwin scrive: «La selezione naturale agisce solo per mezzo della conservazione delle modifiche vantaggiose ; qualsiasi nuova forma, che emerga in un luogo sufficietemente popolato, tende, di conseguenza, a sostituirsi alla forma primitiva meno perfezionata, o ad altre forme meno avvantaggiate, oppure ad altre fome meno favorite con le quali essa entra in concorrenza e finisce per sterminarle. In questo modo, estinzione e selezione naturale vanno costantemente di pari passo. Pertanto, se ammettiamo che ciascuna specie discende da forme sconosciute, questa, così come tutte le varietà transitorie, sono state sterminate dalla sola formazione e dal perfezionamento di una nuova forma.»[1]

In realtà, nella lotta per il territorio (gli animali combattono tra di loro per delimitare il loro territorio), o negli adattamenti all’ambiente, constatiamo fenomeni di equilibrio. Si tratta quindi di fenomeni reversibili: la natura resta fondamentalmente un cosmos ordinato e equilibrato, pieno di meccanismi compensatori.

Konrad Lorenz ha ricevuto il Premio Nobel per le sue pazienti osservazioni degli animali nel loro habitat vitale. In particolare, egli ha studiato in particolare la loro aggressività, un elemento essenziale della loro combattività e quindi rivelatore della loro capacità di conservare o perdere il loro territorio. È eloquente in questo senso il caso dei cani delle praterie, una specie di scoiattolo che vive nelle pianure nordamericane. Ogni maschio combatte per delimitare il territorio destinato alla sua coppia. Si potrebbe quindi ritenere che i più deboli spariscano, provocando così un aumento delle dimensioni medie dell’animale. Non è affatto cosi! Quando il cane delle praterie si allontana dal centro del suo territorio, diminuisce la sua combattività e aumenta il suo istinto di fuga; quando se ne avvicina aumenta la sua combattività e diminuisce il suo istinto di fuga. La stessa constatazione è valida in ambito sportivo: si è più combattivi e si tiene molto a non perdere quando si gioca «in casa», sul proprio terreno, davanti ai propri sostenitori! Questa azione di carattere psicologico conduce a una regolamentazione, proprio là dove Darwin immaginava uno sterminio. Certo, in generale, il più forte ha maggiori possibilità di vincere i combattimenti, ma nella realtà della vita «selvatica», quando il grosso cane della prateria si allontana dal centro del suo territorio, sopraggiunge un momento in cui è il piccolo cane della prateria a vincere la lotta: la sua aggressività è al massimo livello, mentre nell’altro domina l’istinto della fuga.

Possiamo pertanto osservare, grazie alla lotta di ciascun vivente (vegetale, pesce, uccello, carnivoro ecc.) per la sua nicchia ecologica, un meccanismo regolatore naturale che consente una suddivisione equilibrata dei territori; il grosso cane della prateria guadagna un territorio più vasto in quanto è più elevato il suo fabbisogno alimentare, mentre il piccolo conserva un territorio alla sua portata, di dimensioni inferiori, ma sufficiente. Assistiamo così a un processo di suddivisione dei territori e non all’eliminazione del più debole.

Ora misuriamo le conseguenze sociali di questo fatto. Tutti coloro che giustificano il loro comportamento volto all’eliminazione del concorrente (politico, economico, amoroso ecc.) tramite qualsiasi espediente, lavandosi la coscienza in nome di Darwin e considerandosi attori del progresso collettivo, si sbagliano totalmente (ingannandoci). Il «darwinismo sociale» non può trovare giustificazione, poiché falso il darwinismo scientifico! Un’altra conseguenza riguarda la teoria stessa. Il meccanismo di evoluzione concepito da Darwin prevede che la varietà più adatta, ad un certo punto, elimini le altre. Dal momento che la selezione naturale non opera tale eliminazione irreversibile del più debole, non si vede più per quale mezzo avverrebbe l’evoluzione.

Aggiungiamo ancora che questa «selezione naturale» opererebbe su un organo che è già funzionale. Essa può spiegare il fatto che chi ha un bicipite più grande vince nei combattimenti, ma non può spiegare l’apparizione di questo muscolo. Ciò nonostante, Darwin intendeva spiegare con la sua teoria l’origine di tutte le specie e non una qualsiasi «microevoluzione» all’interno della specie.

Egli dovette abbandonare questa velleità, in quanto la selezione naturale non ha la funzione eliminatoria conferitagli dal celebre inglese. L’esempio più celebre di selezione naturale, quello che compare in tutti i manuali, riguarda la farfalla notturna, la falena della betulla, denominata Biston betularia. In questa specie esistono esemplari di colore chiaro e altri di colore scuro. Nella regione di Manchester, città molto inquinata durante la rivoluzione industriale a causa dei fumi provenienti dagli stabilimenti industriali, si è osservata una regressione della tipologia chiara e un aumento di quella scura, che raggiunse una quota del 98% nel 1895. La spiegazione darwinista è la seguente: gli uccelli sono i predatori naturali delle farfalle che restano appoggiate sugli alberi durante la giornata. Le falene chiare sono più facilmente distinguibili sui tronchi anneriti dai fumi sono dunque catturate più facilmente dagli uccelli e ne diminuisce il numero. Al contrario, le falene scure, che si mimetizzano in virtù del loro colore, sopravvivono.                                                                        Con la pulizia dei fumi degli impianti industriali, le betulle hanno ritrovato il loro colore biancastro e le falene chiare sono ridiventate frequenti nel 1960. In realtà, l’unica conclusione possibile è che  la selezione naturale non ha eliminato la varietà svantaggiata, ne ha solo ridotto la proporzione. Ciò nonostante, questa modifica statistica non ha per nulla alterato le caratteristiche della specie: ha soltanto spostato l’equilibrio tra le due varietà. Si è trattato di uno spostamento provvisorio e reversibile che si è annullato da solo non appena l’ambiente, risanato, ha ritrovato le sue condizioni iniziali.

[1]

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